“LAVORO, RESPONSABILITÀ E GIUSTIZIA”
Viaggi diversi per una uguale memoria dell’universo concentrazionario
DUE VIAGGI DELLA MEMORIA:
Dall’1 al 4 marzo 2026: Dachau, Norimberga e Monaco di Baviera
Dall’8 all’11 marzo 2026: Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee
Premessa
La libertà e la dignità di tutte le persone e la solidarietà tra donne e uomini di diversa provenienza culturale e di differente condizione sociale sono per le Organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL valori fondanti del proprio essere e del proprio agire; per queste ragioni hanno costituito il Comitato ‘In Treno per la Memoria’ deputato a proporre a studenti, docenti, delegati sindacali e lavoratori di interrogarsi e fare ricerca sul sistema concentrazionario novecentesco.
Un sistema che fa parte della complessa storia della costruzione dell’identità europea, non è un corpo estraneo ai processi di modernizzazione, riguarda tutti noi e ci riguarda ancora oggi. Come sia stato possibile che questo sistema criminale sia scaturito al centro dell’Europa, fiera degli sviluppi della tecnica, della scienza e della razionalità? Ancora oggi è una domanda ineludibile.
A partire da questi presupposti il comitato Regionale ‘In Treno per la Memoria’ da oltre quindici anni organizza progetti e viaggi di conoscenza nei luoghi della memoria, prevalentemente dei campi di concentramento; da Auschwitz e Birkenau, a Mauthausen e Ebensee, da Fossoli a Trieste. Sono progetti rivolti a studenti, giovani lavoratori e pensionati con il patrocinio della Presidenza della Repubblica.
Per dare una corretta dimensione del lavoro che svolge lo scorso anno il progetto ha visto la partecipazione di 450 studenti di tutte le province lombarde.
Il progetto prevede un percorso didattico per gli studenti in collaborazione con gli Istituti di Storia del circuito ISREC Lombardia e della Fondazione Parri, oltre ad alcuni momenti di commemorazione in occasione della Giornata della Memoria.
Il progetto
Nel 2026, a ottantuno anni dalla liberazione e ad ottanta dal processo di Norimberga, proporre un primo viaggio della memoria a Dachau, Norimberga e Monaco di Baviera, ed un secondo viaggio a Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee significa ritornare su un cruciale momento della storia del nostro paese e dell’Europa, per costruire una memoria consapevole tra le nuove generazioni. Dare visibilità a questi luoghi significa ricordarci che se abbiamo vinto tutti, liberandoci dalla morsa delle dittature nazi-fasciste e dal delirio dei campi di concentramento, altresì vuol dire che non tutti abbiamo vinto. Un paradossale gioco linguistico per riconoscere le responsabilità storiche italiane in cui il ventennio fascista ha un drammatico ruolo di prim’ordine. Dentro questa cornice educativa tornare nei luoghi dell’orrore significa riappropriarsi insieme alle nuove generazioni di una storia che rischia di scivolare nei non detti degli stereotipi che oggi usiamo per mettere a memoria i Lager. Perché, come diceva Primo Levi, è essenziale imparare a considerare i Lager come impianti pilota del futuro pensato dal nazifascismo per l’Europa. Un pensiero che non si è spento con la fine della seconda guerra mondiale. Il viaggio nella sua articolazione diventa allora l’occasione per affrontare la deportazione dentro la storia del nazifascismo, capendone le ragioni storiche, politiche ed economiche e le implicazioni culturali e sociali. Se l’obiettivo generale è provare a confrontarsi con le tracce materiali lasciate dal passato, per imparare a non semplificare la storia, senza cedere a facili revisionismi, la proposta è divenire eredi delle storie di alcune donne e alcuni uomini che in quei campi furono deportati. A Mauthausen, con i sottocampi di Gusen e di Ebensee e la specificità del Castello di Hartheim, per connettere l’universo concentrazionario con la storia del lavoro. Perché in quei campi venne reintrodotta in Europa la pratica del lavoro coatto e la diseguaglianza come principio costitutivo dei rapporti umani. E ancora, perché in quei campi finirono le lavoratrici e i lavoratori che parteciparono agli scioperi nel Nord Italia del 1943 e 1944, fenomeni cruciali nella storia del nostro paese, poiché significarono l’inizio della presa di coscienza antifascista della popolazione che si intrecciava con una dimensione più ampia della resistenza partigiana. A Dachau, con la città di Monaco di Baviera segnata dai memoriali fra cui ‘La Rosa Bianca’, connessa a Norimberga prima cuore dei raduni del Partito nazista, poi sede del Tribunale Militare Internazionale testimone dei crimini di guerra nazisti, per provare a decostruire la retorica della memoria e studiarla come laboratorio di presa di consapevolezza, individuale e collettiva. Scoprire così il terreno fertile dove nacque e poté svilupparsi il nazismo, per infine arrivare a comprendere che non ci può essere giustizia se prima non vi è un nitido riconoscimento delle responsabilità storiche. Stiamo scrivendo di distinzioni che in queste righe appaiono schematiche, ma che vanno osservate assieme nella loro complessità. Guardare alle biografie delle donne e degli uomini che vissero quei luoghi significa affrontare i Lager come luoghi carichi degli orrori vissuti dalle vittime, ma significa anche riconoscere quel fiore che dentro loro germogliava, nascosto in quell’orrore. Fiore di un futuro sognato di pace e prosperità condivisa. Fiore custodito nel “mai più” del ‘giuramento di Mauthausen’, scritto dai sopravvissuti al campo. Sta a noi fare nostre quelle parole, rinnovandole ogni anno. Qui il cerchio in qualche modo si chiude su un presente in cui questa pace, questa condivisione e questa prosperità sembrano smarrirsi. Parlare ai giovani di memoria è testimoniare che il passato va guardato nella sua interezza, fatta di pagine anche difficili da riconoscere perché indecifrabili, oppure perché inquietanti; è testimoniare che il nostro presente deriva proprio da quel passato. Analogamente, con quello stesso sguardo responsabile e consapevole, si può leggere il presente in cui viviamo, per progettare il miglior futuro possibile. Nel 2004 Umberto Eco ha scritto ne ‘La misteriosa fiamma della regina Loana’: «Ma ora che andiamo a… verso qualcosa, vedo nebbia anche davanti, non solo dietro. No, non è nebbia davanti, è come se avessi le gambe molli e non potessi camminare. E’ come saltare.» «Saltare?» «Sì, per saltare devi fare un balzo in avanti, ma per farlo devi prendere la rincorsa, e quindi devi tornare indietro. Se non torni indietro non vai in avanti.»
I luoghi
Il complesso dei campi di concentramento concepito e realizzato dalla Germania nazista a partire dal 1933, nel Reich, costituisce un sistema interconnesso e pervasivo, le cui diramazioni arrivano a stendersi sull’intera Europa negli anni del Secondo conflitto mondiale, sino a contare decine di migliaia di strutture di diverse grandezza e funzione, nelle quali sono state esercitate le politiche di violenza proprie del credo nazionalsocialista.
_Il KZ Dachau
Il 22 marzo del 1933, alcune settimane dopo la nomina di Hitler alla Cancelleria del Reich, fu creato a Dachau il Gedenkstaette-Dachau (KZ), un campo di concentramento per prigionieri politici. Questo spazio fu modello per tutti i successivi campi di concentramento e in seguito divenne la ‘scuola di violenza’ per i soldati delle SS, sotto la cui amministrazione sottostava. Durante i dodici anni della sua esistenza più di 200.000 persone provenienti da tutta Europa furono rinchiuse qui e nei numerosi campi secondari. Sono stati giustiziati 41.500 prigionieri.
_ Il NS Dokumentationszentrum di Monaco di Baviera
Il Centro di Documentazione sul Nazionalsocialismo, che sorge dove si trova la sede centrale del partito nazionalsocialista, ha l’obiettivo di comprendere l’origine dell’ideologia nazionalsocialista, intrecciandola con la comprensione delle strutture che portarono all’esclusione e alla persecuzione di gruppi sociali. Temi come guerra e genocidio, razzismo e antisemitismo costituiscono altri argomenti chiave, che possono essere interpretati anche in una prospettiva attuale e internazionale.
_ Monaco di Baviera, percorso memoriale
Un percorso tra i Memoriali presenti nella città, fra cui è da menzionare il Memoriale della Rosa Bianca, una visita guidata che presenta i motivi e gli obiettivi del gruppo di resistenza antinazista della Rosa Bianca, i fatti centrali legati alla distribuzione dei volantini, gli arresti che ne seguirono e infine i processi di fronte al Tribunale del Popolo.
_Norimberga, percorso memoriale
Un percorso nell’architettura che ospitava i raduni del partito nazionalsocialista che include l’ala nord della Congresse Halle, la grande sala dei congressi oggi sede del Centro di Documentazione Reichsparteitagsgelände che approfondisce le cause, le connessioni e le conseguenze del nazismo nella società tedesca dell’epoca. A completare il percorso il Memoriale dei Processi di Norimberga, Memorium Nürnberger Prozesse, una mostra permanente allestita nella Saal 600, che fu l’aula dei processi, e che informa sugli antefatti, sullo svolgimento e sulle ripercussioni degli stessi.
_Il KL Mauthausen
Tra i luoghi della deportazione, il Konzentrationslager (KL) Mauthausen riveste un ruolo particolarmente significativo nella storia dell’evoluzione del sistema concentrazionario e – più direttamente – in quella della deportazione dal nostro paese (più di 6.600 italiani finiscono a Mauthausen e nei suoi sottocampi, quasi il 30% della cifra totale dei deportati politici nei campi nazisti).
_Mauthausen e Gusen
Il sito dell’ex campo di concentramento di Mauthausen e il sottocampo di Gusen si presentano come un luogo plurimo e complesso in cui coesistono cospicue tracce dell’assetto originario, quello memoriale e quella museale. Ciò permette di sviluppare in loco una riflessione storica e storiografica tanto sull’ordine concentrazionario, la sua genesi, la sua evoluzione quanto sulle comunità nazionali che lo hanno ‘abitato’. Alle ragioni storiche se ne sommano altre di ordine memoriale. Basterà citare, a tale riguardo, la presenza, nell’area a fianco della struttura principale, delle decine di monumenti dedicati alle vittime dai Paesi da cui erano state deportate.
_Ebensee
Il sottocampo di Ebensee fu istituito nel 1943 come parte del progetto per la Wunderwaffe nazista. Qui, oltre 18.000 prigionieri furono costretti a scavare in condizioni inumane immense gallerie nelle montagne, destinate a ospitare il centro missilistico alternativo a quello di Peenemünde, lontano dagli attacchi aerei alleati.
_Hartheim
Il castello, trasformato in centro di uccisione in seno al primo programma di assassinio dimassa intrapreso dalla Germania nazista, a partire dall’estate del 1941 serviva per le eliminazioni dei deportati del KL Mauthausen giudicati inabili al lavoro. La sua visita permette di allargare la riflessione alle bio-politiche attuate dalla dittatura nazista e sui crimini contro l’umanità. Per questa edizione la comitiva sarà suddivisa in due delegazioni territoriali. Un sottogruppo andrà dal 1 al 4 marzo 2026 a Dachau, Norimberga e Monaco di Baviera, ed un secondo sottogruppo dall’8 all’11 Marzo 2026 a Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee. E’ doveroso precisare per questa edizione che se un territorio sceglie una meta non potrà andare anche nell’altra.
Il viaggio
Il complesso dei campi d
EDIZIONE 2025/2026
80 anni dalla sconfitta del nazifascismo e dalla vittoria dell’antifascismo.
Cosa abbiamo vinto, quale liberazione: le ragioni di un viaggio.
La prospettiva obliqua della deportazione
A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale proporre un viaggio della memoria a Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee significa portare le nuove generazione a guardare la sconfitta del nazifascismo e la vittoria dell’antifascismo a partire dalla prospettiva obliqua che fu quella dei sopravvissuti e delle sopravvissute di allora.
Gli uomini e le donne che videro allora entrare i militari alleati nei campi, da una parte ebbero la consapevolezza che era stato sconfitto il sistema politico che li ha portati a diventare scheletri dopo essere stati ridotti a numeri, quel sistema politico per cui i Lager sono stati impianti piloti del futuro da immaginare per l’Europa, dall’altra parte, da sopravvissuti e sopravvissute dovranno imparare presto che, di fronte al mondo degli uomini liberi, erano “fantasmi di un passato che si vuole dimenticare per girare in fretta la pagina della guerra” (come diceva Ferruccio Maruffi, sopravvissuto a Mauthausen) che le loro storie saranno sempre la coscienza inquieta di un’idea di vittoria pacificata con se stessa, il ricordo implicito, nell’eco del silenzio di chi non è tornato, di una guerra che è stata anche civile, ha spaccato la comunità, le convivenze abituali, le amicizie, le famiglie.
La costruzione dell’immagine del Lager
Oggi la memoria della deportazione, consolidata attraverso il prisma della Shoah, è una memoria che ha un suo riconoscimento e una sua specifica funzione dentro i processi di memorizzazione nazionale e rischia inevitabilmente una sclerotizzazione. In un momento di commemorazione importante come l’ottantesimo, ritornare a studiare il momento del confronto tra mondo libero e sopravvissuti dei Lager a partire da Mauthausen significa approfondire la storia dell’ultimo Lager ad essere stato “liberato” il 5 maggio 1945 e da lì ripensare a tutto il processo di costruzione dell’immagine dei Lager prima dentro i giorni della vittoria dal nazifascismo e poi dentro quello messo in moto per mettere a memoria delle collettività nazionali la Seconda guerra mondiale in generale e i Lager in particolare.
Si tratta di riportare ragazzi e ragazze a considerare cosa significa “vedere” e “dare a vedere” la violenza della guerra, imparando a leggere come si è andata costruendo l’immagine dei Lager, come la fotografia abbia aiutato a rendere i Lager un fatto della Seconda guerra mondiale e come abbia funzionato come schermo cieco che ha plasmato l’orizzonte di attesa per i racconti di chi tornava dai Lager rendendo difficile la loro presa di parola.
Decostruire la retorica della memoria
In questa direzione, nell’ottantesimo della fine della guerra, organizzare un viaggio nei Lager mettendo a tema la “liberazione dei campi” significa provare a decostruire la retorica della memoria e imparare a studiarla come laboratorio di presa di consapevolezza, individuale e collettiva, dell’esperienza vissuta. Il momento della scoperta dei campi da parte degli alleati è un momento cruciale nella storia e nell’immaginario dell’Europa, momento di confronto con un’esperienza che rimette in discussione il significato delle parole e chiede con forza di rinegoziarlo dentro la comunità, mettendosi all’ascolto di storie che è facile bollare di “indicibile” per evitare di ascoltarle, perché evocano un mondo che definire “inferno” è un modo per non considerare cosa dicono della “specie umana” che vive sulla terra. Significativo a questo proposito per viaggiatori e viaggiatrici sarà interrogarsi su come sono emersi e sono stati accolti i racconti di chi tornava, come la loro voce ha trovato posto nel racconto collettivo della guerra appena conclusa.
Interrogarsi sul “mai più” del giuramento di Mauthausen
Ritornare con ragazzi e ragazze sulla vittoria che ha portato alla scomparsa del sistema concentrazionario nazifascista significa ritornare ad interrogarsi su quel “mai più” che ha portato sulla piazza dell’appello di Mauthausen i sopravvissuti di tutte le nazioni a unirsi e stendere il “giuramento di Mauthausen”. Significa cogliere la tensione a un’immagine di mondo che attraversava allora il corpo di uomini distrutti che parlavano sapendo di parlare da vincitori anche per chi non sarebbe tornato, e considerare come quell’eredità che così ci consegnavano si è tradotta in forme del vivere insieme nel dopoguerra, e chiederci oggi cosa significa custodire quelle parole, non ripeterle invano.
La questione del lavoro schiavo e la diseguaglianza come principio costitutivo dei rapporti umani
Un viaggio a Mauthausen rende evidente la questione del lavoro schiavo, reintrodotta dall’universo concentrazionario nell’Europa del XX secolo per difendere l’idea di società nazifascista e le sue guerre di conquista. Si impone la domanda su come la società, uomini e donne del dopoguerra, hanno provato a disinnescare la disuguaglianza come principio di definizione dei rapporti umani nella costruzione del presente e del futuro di una comunità, sapendo che quello è il primo passo che conduce inevitabilmente ai Lager. A partire da questa consapevolezza alcuni percorsi autobiografici potranno essere l’occasione per dare corpo alla vittoria sul nazifascismo dentro la nostra comunità, nel momento in cui una riflessione sulla costituzione potrà essere affrontata come volontà e capacità di avere immaginato una collettività che fa dell’uguaglianza il principio di convivenza.
La deportazione come eredità memoriale e la prospettiva di Primo Levi in “Al visitatore”
Il viaggio nel suo complesso diventa l’occasione per affrontare la deportazione dentro la storia del nazifascismo, capendone le ragioni storico, politico e economiche e la sua eredità memoriale nella definizione dell’immaginario della nostra comunità. E se l’obiettivo generale è di imparare a confrontarsi con le tracce materiali lasciate dal passato per imparare a non semplificare la storia e a coglierne la complessità senza cedere a facili revisionismi, la proposta di lavorare sulla “liberazione” è la peculiarità di quest’anno che vuole inserirsi nell’anno delle celebrazioni dell’ottantesimo della fine della guerra e lavorare nella prospettiva proposta da Primo Levi nel testo “Al visitatore” preparato per il Memorial dei caduti italiani nei campi di sterminio ed allestito a Auschwitz nel 1979. È un testo che ci accompagnerà in tutto il percorso: voluto da Aned il memoriale è il risultato di un lavoro di équipe fra sopravvissuti e voci di primo piano della cultura italiana degli anni Settanta in cui Primo Levi ha il ruolo di dare voce all’opera progettata da Lodovico Belgiojoso come una spirale illustrata da Pupino Samonà e attraversata dalla musica di Luigi Nono.
In questo testo che intende accompagnare il visitatore nell’opera, Levi inserisce la storia della deportazione in quella nazionale e si interroga sul senso del viaggio come momento di consapevolezza e crescita tanto di una consapevolezza delle responsabilità del fascismo che dello slancio a guardare il futuro, senza timidezze, da vincitori del nazifascismo, come luogo più accogliente e più giusto per tutti e tutte.