“UN VIAGGIO DIVERSO UNA UGUALE MEMORIA”
Mauthausen, Gusen, Castello di Hartheim, Ebensee
DAL 27 FEBBRAIO AL 2 MARZO 2025
Premessa
L’impegno del Comitato “In treno per la memoria” di fronte a giovani e comunità
La libertà e la dignità̀ di tutte le persone e la solidarietà̀ tra donne e uomini di diversa provenienza culturale e di differente condizione sociale sono per le Organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL valori fondanti del proprio essere e del proprio agire; per queste ragioni hanno costituito il Comitato “In Treno per la Memoria” deputato a proporre a studenti, docenti, delegati sindacali e lavoratori di interrogarsi e fare ricerca sul sistema concentrazionario novecentesco.
Il sistema concentrazionario fa parte della complessa storia della costruzione dell’identità̀ europea, non é un corpo estraneo ai processi di modernizzazione, riguarda tutti noi e ci riguarda ancora oggi.
Come sia stato possibile che questo sistema criminale sia scaturito al centro dell’Europa orgogliosa degli sviluppi della tecnica, della scienza e della razionalità è ancora oggi una domanda ineludibile.
Nel nostro tempo, tuttavia, fare ricerca e didattica della storia sul tema del sistema concentrazionario comporta aver chiari e non eludere i cambiamenti radicali avvenuti negli ultimi decenni sia sul piano geopolitico che nella battaglia delle idee per l’egemonia culturale ed ideologica.
Approssimando alcune fasi periodizzanti, dal 1945 al 1989, la Resistenza europea e i valori della cultura antifascista e antinazista hanno mantenuto centralità, nonostante la guerra fredda, come radice della rifondazione democratica del continente, insieme alla condanna della Germania nazista come unica responsabile dello sterminio.
Dopo il 1989, la Shoah che era il perno della memoria collettiva europea, organizzata sulla centralità delle vittime, ha subito l’emersione/esplosione di memorie divise e conflittuali; si pensi a quelle dei paesi dell’Europa centro orientale, che rivendicano l’equiparazione tra il totalitarismo nazista e quello sovietico, o a quelle di quei gruppi la cui esperienza non si identificava o non coincideva con il senso comune antinazista e antifascista dei vincitori della Seconda guerra mondiale. Soprattutto dagli anni 2000, una sorta di populismo storico nazionalista ha condotto all’equiparazione e a volte al rovesciamento dei ruoli sia delle vittime che delle parti in campo durante la guerra (fascisti e antifascisti, nazisti e antinazisti).
Di fronte ad un mondo globalizzato e tendenzialmente multipolare, non si tratta solo di decolonizzare la visione eurocentrica, ma anche di provincializzare l’Europa occidentale, per non riprodurre gerarchie e stigmatizzazioni, sapendo che forgiare una memoria collettiva comune non sembra né possibile né desiderabile. E’ piuttosto necessario esplorare le differenti memorie e dotarsi della capacità di farle dialogare. Ripensare il passato inoltre non può eludere il nodo di una più generale responsabilità europea e, per quel che ci riguarda come paese, italiana: colonialismo e imperialismo parlano di Europa e Italia. Non ci sono solo differenti memorie europee, ma ci sono persone che vivono e lavorano in Europa portatrici di memorie ed esperienze tragiche in cui gli stati europei hanno avuto un ruolo oppressivo e in alcuni casi criminale.
Sul piano della metodologia della ricerca, la capillarità e la diffusione sulla rete di siti e social network hanno consentito ad un largo pubblico l’accesso ad una mole di documenti e testimonianze multimediali, inedita o pressoché inaccessibile finora. A volte questo fenomeno ha prodotto uno scollamento tra la ricerca storiografica, sottoposta al rigore critico disciplinare, e la produzione memoriale, finendo per rendere alla testimonianza un valore in sé, verità a prescindere dal vaglio critico. Dentro questa faglia si colloca un uso politico della storia che distorce il senso degli eventi, mettendo i medesimi, decontestualizzati e manipolati, al servizio del controllo selettivo della memoria con l’intento di governare il presente.
Come continuare allora con efficacia e credibilità la ricerca sul fenomeno del concentrazionismo? Riflettendo e facendo tesoro dei mutamenti degli scenari e dei soggetti attivi in questo processo, di cui si è cercato di dare limitati cenni. Allargando gli orizzonti e approfondendo l’analisi, attraversando con coraggio territori inesplorati o in ombra.
Il Comitato “In Treno per la Memoria” ha ritenuto utile e necessario progettare un programma pluriennale di ricerca che, passo dopo passo, con un approccio guidato dal rigore dell’analisi storiografica, si concentri su temi rimasti ai margini, o sui quali la battaglia delle idee per la costruzione del senso comune è più accesa.
Il programma di lavoro che il Comitato ha strutturato si avvale di risorse intellettuali ingenti e si fonda su un impegno metodologico rigoroso. Esplorare territori di ricerca in buona parte inediti o di complessa natura richiede la costruzione di strumenti e l’organizzazione di competenze opportunamente pensate.
A tal fine il progetto prevede attività preparatorie di discussione, confronto e formazione per i docenti, condotte da esperti nell’ambito della ricerca storiografica, della gestione e della critica delle fonti (documentarie, iconografiche, orali).
Di valore strategico per l’efficacia del progetto, come per le passate esperienze di “In treno per la Memoria”, sarà la valorizzazione della dimensione territoriale e locale, financo dei caratteri specifici dei curricoli delle singole scuole, nelle attività di formazione, ricerca e studio.
Coerentemente con questi intenti, al servizio delle scuole e dei territori, si é costituito un gruppo per la progettazione e gestione delle attività di studio e ricerca prima del viaggio, durante il viaggio e al ritorno dal viaggio nella forma della restituzione alla comunità scolastica e territoriale. Tale gruppo è frutto dell’organica collaborazione tra il Comitato organizzatore di “In treno per la memoria” e la rete lombarda degli Istituti per la storia della Resistenza.
EDIZIONE 2024/205
80 anni dalla sconfitta del nazifascismo e dalla vittoria dell’antifascismo.
Cosa abbiamo vinto, quale liberazione: le ragioni di un viaggio.
La prospettiva obliqua della deportazione
A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale proporre un viaggio della memoria a Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee significa portare le nuove generazione a guardare la sconfitta del nazifascismo e la vittoria dell’antifascismo a partire dalla prospettiva obliqua che fu quella dei sopravvissuti e delle sopravvissute di allora.
Gli uomini e le donne che videro allora entrare i militari alleati nei campi, da una parte ebbero la consapevolezza che era stato sconfitto il sistema politico che li ha portati a diventare scheletri dopo essere stati ridotti a numeri, quel sistema politico per cui i Lager sono stati impianti piloti del futuro da immaginare per l’Europa, dall’altra parte, da sopravvissuti e sopravvissute dovranno imparare presto che, di fronte al mondo degli uomini liberi, erano “fantasmi di un passato che si vuole dimenticare per girare in fretta la pagina della guerra” (come diceva Ferruccio Maruffi, sopravvissuto a Mauthausen) che le loro storie saranno sempre la coscienza inquieta di un’idea di vittoria pacificata con se stessa, il ricordo implicito, nell’eco del silenzio di chi non è tornato, di una guerra che è stata anche civile, ha spaccato la comunità, le convivenze abituali, le amicizie, le famiglie.
La costruzione dell’immagine del Lager
Oggi la memoria della deportazione, consolidata attraverso il prisma della Shoah, è una memoria che ha un suo riconoscimento e una sua specifica funzione dentro i processi di memorizzazione nazionale e rischia inevitabilmente una sclerotizzazione. In un momento di commemorazione importante come l’ottantesimo, ritornare a studiare il momento del confronto tra mondo libero e sopravvissuti dei Lager a partire da Mauthausen significa approfondire la storia dell’ultimo Lager ad essere stato “liberato” il 5 maggio 1945 e da lì ripensare a tutto il processo di costruzione dell’immagine dei Lager prima dentro i giorni della vittoria dal nazifascismo e poi dentro quello messo in moto per mettere a memoria delle collettività nazionali la Seconda guerra mondiale in generale e i Lager in particolare.
Si tratta di riportare ragazzi e ragazze a considerare cosa significa “vedere” e “dare a vedere” la violenza della guerra, imparando a leggere come si è andata costruendo l’immagine dei Lager, come la fotografia abbia aiutato a rendere i Lager un fatto della Seconda guerra mondiale e come abbia funzionato come schermo cieco che ha plasmato l’orizzonte di attesa per i racconti di chi tornava dai Lager rendendo difficile la loro presa di parola.
Decostruire la retorica della memoria
In questa direzione, nell’ottantesimo della fine della guerra, organizzare un viaggio nei Lager mettendo a tema la “liberazione dei campi” significa provare a decostruire la retorica della memoria e imparare a studiarla come laboratorio di presa di consapevolezza, individuale e collettiva, dell’esperienza vissuta. Il momento della scoperta dei campi da parte degli alleati è un momento cruciale nella storia e nell’immaginario dell’Europa, momento di confronto con un’esperienza che rimette in discussione il significato delle parole e chiede con forza di rinegoziarlo dentro la comunità, mettendosi all’ascolto di storie che è facile bollare di “indicibile” per evitare di ascoltarle, perché evocano un mondo che definire “inferno” è un modo per non considerare cosa dicono della “specie umana” che vive sulla terra. Significativo a questo proposito per viaggiatori e viaggiatrici sarà interrogarsi su come sono emersi e sono stati accolti i racconti di chi tornava, come la loro voce ha trovato posto nel racconto collettivo della guerra appena conclusa.
Interrogarsi sul “mai più” del giuramento di Mauthausen
Ritornare con ragazzi e ragazze sulla vittoria che ha portato alla scomparsa del sistema concentrazionario nazifascista significa ritornare ad interrogarsi su quel “mai più” che ha portato sulla piazza dell’appello di Mauthausen i sopravvissuti di tutte le nazioni a unirsi e stendere il “giuramento di Mauthausen”. Significa cogliere la tensione a un’immagine di mondo che attraversava allora il corpo di uomini distrutti che parlavano sapendo di parlare da vincitori anche per chi non sarebbe tornato, e considerare come quell’eredità che così ci consegnavano si è tradotta in forme del vivere insieme nel dopoguerra, e chiederci oggi cosa significa custodire quelle parole, non ripeterle invano.
La questione del lavoro schiavo e la diseguaglianza come principio costitutivo dei rapporti umani
Un viaggio a Mauthausen rende evidente la questione del lavoro schiavo, reintrodotta dall’universo concentrazionario nell’Europa del XX secolo per difendere l’idea di società nazifascista e le sue guerre di conquista. Si impone la domanda su come la società, uomini e donne del dopoguerra, hanno provato a disinnescare la disuguaglianza come principio di definizione dei rapporti umani nella costruzione del presente e del futuro di una comunità, sapendo che quello è il primo passo che conduce inevitabilmente ai Lager. A partire da questa consapevolezza alcuni percorsi autobiografici potranno essere l’occasione per dare corpo alla vittoria sul nazifascismo dentro la nostra comunità, nel momento in cui una riflessione sulla costituzione potrà essere affrontata come volontà e capacità di avere immaginato una collettività che fa dell’uguaglianza il principio di convivenza.
La deportazione come eredità memoriale e la prospettiva di Primo Levi in “Al visitatore”
Il viaggio nel suo complesso diventa l’occasione per affrontare la deportazione dentro la storia del nazifascismo, capendone le ragioni storico, politico e economiche e la sua eredità memoriale nella definizione dell’immaginario della nostra comunità. E se l’obiettivo generale è di imparare a confrontarsi con le tracce materiali lasciate dal passato per imparare a non semplificare la storia e a coglierne la complessità senza cedere a facili revisionismi, la proposta di lavorare sulla “liberazione” è la peculiarità di quest’anno che vuole inserirsi nell’anno delle celebrazioni dell’ottantesimo della fine della guerra e lavorare nella prospettiva proposta da Primo Levi nel testo “Al visitatore” preparato per il Memorial dei caduti italiani nei campi di sterminio ed allestito a Auschwitz nel 1979. È un testo che ci accompagnerà in tutto il percorso: voluto da Aned il memoriale è il risultato di un lavoro di équipe fra sopravvissuti e voci di primo piano della cultura italiana degli anni Settanta in cui Primo Levi ha il ruolo di dare voce all’opera progettata da Lodovico Belgiojoso come una spirale illustrata da Pupino Samonà e attraversata dalla musica di Luigi Nono.
In questo testo che intende accompagnare il visitatore nell’opera, Levi inserisce la storia della deportazione in quella nazionale e si interroga sul senso del viaggio come momento di consapevolezza e crescita tanto di una consapevolezza delle responsabilità del fascismo che dello slancio a guardare il futuro, senza timidezze, da vincitori del nazifascismo, come luogo più accogliente e più giusto per tutti e tutte.
I LUOGHI
Il KL Mauthausen nel sistema concentrazionario
Il complesso dei campi di concentramento concepito e realizzato dalla Germania nazista a partire dal 1933, nel Reich, costituisce un sistema interconnesso e pervasivo, le cui diramazioni arrivano a stendersi sull’intera Europa negli anni del Secondo conflitto mondiale, sino a contare decine di migliaia di strutture di diverse grandezza e funzione, nella quali sono state esercitate le politiche di violenza proprie del credo nazionalsocialista.
Tra i luoghi della deportazione, il Konzentrationslager (KL) Mauthausen – alla testa di una vastissima rete di sottocampi dipendenti e tra gli ultimi a essere raggiunto e liberato dagli alleati, nella primavera del 1945 – riveste un ruolo particolarmente significativo nella storia dell’evoluzione del sistema concentrazionario (con Mauthausen raggiunge il suo culmine la funzione produttivistica dei campi attraverso lo sfruttamento della forza lavoro resa schiava) e – più direttamente – in quella della deportazione dal nostro paese (più di 6.600 italiani finiscono a Mauthausen e nei suoi sottocampi, quasi il 30% della cifra totale dei deportati politici nei campi nazisti).
Visitare Mauthausen
Il sito dell’ex campo di concentramento di Mauthausen si presenta come un luogo plurimo e complesso in cui coesistono cospicue tracce dell’assetto originario (la permanenza di parte delle strutture del KL), quello memoriale e quella museale. Ciò permette di sviluppare in loco una riflessione storica e storiografica tanto sull’ordine concentrazionario, la sua genesi, la sua evoluzione, le sue funzioni e forme quanto sulle comunità nazionali che lo hanno “abitato” – quella italiana, numericamente tra le principali (senza dimenticare i nostri prigionieri di guerra, internati nel primo conflitto mondiale, dal momento che il campo entra in funzione ben prima dell’avvento del nazismo). Alle ragioni storiche se ne sommano altre di ordine memoriale. Basterà citare, a tale riguardo, la presenza, nell’area a fianco della struttura principale, delle decine di monumenti dedicati alle vittime dai Paesi da cui erano state deportate, che ben si presta, anche per la sua ampiezza, a osservazioni sulle politiche della memoria su scala europea.
Visitare Hartheim
L’antico castello, trasformato in centro di uccisione in seno al primo programma di assassinio di massa intrapreso dalla Germania nazista, ha avuto la funzione di terminale, a partire dall’estate del 1941, per le eliminazioni dei deportati del KL Mauthausen giudicati inabili al lavoro. La sua visita permette di allargare la riflessione alle politiche di assassinio varate ed attuate dall’autorità nazista e, più in generale, sulla bio-politica e sui crimini contro l’umanità.
Visitare Ebensee
Il campo di concentramento di Ebensee, situato nell’Alta Austria, fu istituito dalle SS nel 1943 come parte del progetto per la “Wunderwaffe” nazista. Qui, oltre 18.000 prigionieri furono costretti a scavare immense gallerie nelle montagne, destinate a ospitare il centro missilistico alternativo a quello di Peenemünde, lontano dagli attacchi aerei alleati. I prigionieri, ignari del progetto, vivevano in condizioni inumane, soggetti a lavori forzati e costantemente minacciati di morte. Nel 1945, con l’arrivo di prigionieri dai campi evacuati, la situazione peggiorò ulteriormente, causando migliaia di morti per fame. L’intervento di un gruppo di resistenza riuscì a impedire il piano delle SS di sterminare i detenuti nelle gallerie poco prima dell’arrivo delle truppe americane.
Scarica il programma completo
Programma di viaggio Mauthausen 2025
CODICE ETICO DEL TRENO PER LA MEMORIA
Il progetto «In Treno per la Memoria» si esprime nella costruzione di una comunità di esperienze e di proposte formative rivolte agli studenti, ai giovani, ai lavoratori e ai pensionati. Il progetto si svolge nel corso dell’intero anno, nelle scuole e nei territori della Lombardia, ed ha nel viaggio il momento più significativo sul piano della conoscenza e delle emozioni.
Ripercorreremo idealmente il tragico tragitto delle vittime della deportazione, come atto di memoria, trasformando il viaggio in un vero e proprio «laboratorio itinerante» di storie e di memorie a confronto e di scambio intergenerazionale.
Il viaggio organizzato dal Comitato è l’esperienza di lavoro sulla memoria; si tratta di un impegno responsabile di tutti i partecipanti riguardo al suo significato e alla buona realizzazione di questa esperienza comune. I comportamenti devono essere ispirati a questa sensibilità, non è perciò un viaggio turistico.
Il viaggio «In treno per la Memoria» rappresenta una proposta educativa e formativa rivolta a tante persone di diversa provenienza; lo scopo è quello di costruire una comunità di viaggio che attraverso la condivisione e la socialità dei comportamenti affronti, insieme, proprio sul luogo che ha sperimentato la più terribile discriminazione, il valore dell’accoglienza e del rispetto dell’altro, per vivere un’esperienza che ambisce ad arricchire la coscienza personale ed il futuro comune.
Durante la visita
Le regole generali possono essere così riassunte:
- Mantenere un atteggiamento in linea con il luogo visitato sia nel vestiario che nel comportamento.
- Evitare di fumare, mangiare durante la visita.
- Evitare fotografie di cattivo gusto (in posa e di gruppo) limitandosi ai luoghi e alle cose.
- Tenere un tono di voce basso.
- Rispettare tutte le regole del Museo ed evitare qualsiasi danneggiamento a luoghi e cose.
Vi consigliamo infine di visitare il luogo con calma, silenzio e preghiera (laica e religiosa) lasciando agli stessi luoghi la possibilità di “raccontarvi” l’immane tragedia.
LA SOTTOSCRIZIONE DEL PRESENTE CODICE È CONDIZIONE PREGIUDIZIALE PER LA CONFERMA DELLA PARTECIPAZIONE